Metrica babilonese

27 maggio 2009 di D.

Sulle possibili conclusioni che si potrebbero trarre, negli studi musicali delle varie epoche, dallo studio delle “risorse poetiche” delle stesse epoche: metrica, stile, versificazione, rime, assonanze, allitterazioni.Non tutti sanno che la metrica (la intendo qui in senso lato come il bagaglio degli strumenti poetici) delle antiche civiltà è bene documentata e ricostruita.
Gli scritti di Theodor Gaster (1906-1992) sono sicuramente illuminanti a riguardo. (Si veda ad esempio “The Oldest Stories in the World”, 1958, pubblicato in italiano da Einaudi nel ’60).
Ci vorrà qualche tempo prima che la rete riesca a spazzare via buona parte del vecchiume di stampo romantico-classicista-clericale, permettendoci di vedere finalmente lo sviluppo della civiltà come un tutto organico e variegato entro cui greci, ebrei e romani sono solo piccoli mattoncini equivalenti a tanti altri.
Lo studio dei metri e dei versi sumeri, hittiti, accadici e babilonesi (più la masnada cananea, fenicia, e chi più ne ha più ne metta) potrebbe dare utili sugerimenti alle zone d’ombra spesso rinnegate nelle nostre conoscenze sulla metrica latina e greca, e ancor più su forme, stili e ritmi delle culture musicali coeve.
E se questo può sembrare capzioso o inutile, si prenda un salmo a caso e si osservi come la ripartizione di ciascun verso in due parti equivalenti in significato (quasi una ripetizione del concetto), tipica della lirica cananea ed ebraica, abbia pesantemente influenzato la forma tipica delle frasi musicali nella musica occidentale.
Ovvio che per notare ciò bisogna mettere anche un po’ il naso fuori dalla botte e capire che la musica occidentale non è la sola esistente.

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