Orchestra classica e questioni di prassi esecutiva
25 maggio 2009 di D.Sulla non scontatezza di molte semplici questioni nella prassi esecutiva. In questo articolo in particolare alcune questioni sul periodo classico relative all’orchestra: arcate, posizioni, diteggiature, articolazioni, durata delle note, abbellimenti, fraseggio. Un’introduzione all’argomento si trova nei seguenti articoli di questo blog: Czerny e i pistoni, scopri il Bruckner che c’è in Haydn e il budello di Hohmann.
Riusciamo veramente ad astrarre da tutta la trattatistica dell’800 quando eseguiamo musica del ’700? E quando approfondiamo la trattatistica dell’epoca riusciamo a distinguere l’eccezione dei virtuosi, la pedanteria e goffaggine dei principianti o degli aristocratici ritardati (ma paganti) e la “normalità” dei buoni professionisti dell’epoca?
Credo che tutti aspirino a quest’ultima categoria, almeno inconsciamente, quando cercano di creare un’esecuzione “filologica”.
Il pericolo sta nelle cose più scontate e “ovvie”. Per noi è ovvio ciò che abbiamo imparato al conservatorio, che deriva da una tradizione che per decenni ha cercato di rendere il pollice uguale alle altre dita, il tallone dell’arco uguale alla punta, la T uguale alla K (eliminando D, G, P ecc.) nello staccato dei fiati, di eliminare le differenze nei cambi di corda, posizione e registro, di omologare le note buone e le note cattive.
E raramente noi cerchiamo la fonte del “si fa così” che, nel migliore dei casi, è qualche disco dei “pionieri” che noi prendiamo come modello. Dimenticandoci che anche loro, poveretti, non possono sapere tutto.
Metto qui di seguito alcune domande banali che richiedono però una risposta non banale, se la si vuole definire bene temporalmente e geograficamente. Tralascio le questioni delle appoggiature e degli abbellimenti in genere perché già discussi in precedenti articoli.
In coda aggiungo alcune mie opinioni personali in risposta alle domande, derivanti solo dalla mia esperienza, che non saprei come giustificare ed avallare da un punto di vista bibliografico.
Commenti di critica, suggerimenti, richiesta di chiarimenti o dubbi sono graditissimi!
1) La semicroma puntata va sempre eseguita come semicroma seguita da una pausa di biscroma? Perché?
2) Quando gli archi superiori concludono con una croma (accordo o nota singola) e i bassi con una semiminima, la semiminima dei bassi va rispettata? La questione cambia se la semiminima è prescritta anche per i fiati gravi e/o acuti?
Le mie risposte:
1) No, dipende dal contesto. Non ho nulla in contrario, purché lo si faccia consciamente. Introdurre la pausa mi sembra d’effetto nei tempi lenti per riprodurre quello “stile francese” di cui da trecento anni tanto di parla e poco si sa. Mi sembra invece deleterio in molti passaggi veloci: per esempio, molte orchestre riducono per questo motivo la Quarta di Schumann a un’ouverture rossiniana, nonostante sia nota l’opinione di Schumann nei confronti del pesarese…
2) Secondo me l’importante risiede nella pausa che segue. Se gli archi nell’eseguire gli accordi sono divisi (come NON si faceva all’epoca!), non c’è più il rischio che alcune corde continuino a risuonare rovinando la pausa. Quindi, a seconda del contesto, io non mi farei problemi ad accorciare i bassi o al limite ad allungare gli altri. Se invece ci si attiene alla prassi, e gli archi suonano gli accordi come scritto, spesso ci si accorge che tali piccolezze non sono dovute alla disattenzione del compositore, bensì alla sua esperienza.
Davide Lorenzato
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