Czerny e i pistoni
2 novembre 2008 di D.Il passaggio dalla grande varietà di note del barocco alla omologazione industriale di fine ’800 ha seguito diverse vie, tutte parallele.
Sulle tastiere, i “grandi didatti” come Czerny (che non si facevano problemi di dire a Chopin che avrebbe dovuto mettersi a studiare seriamente il pianoforte), introducevano il mito dell’uguaglianza delle note. Non più un dialogo di note, piccole nuances di note buone e note cattive, fini articolazioni. Tutte le note, anche le più insignificanti, dovevano essere uguali. Un quarto dito doveva sviluppare una potenza pari a un secondo o un primo.
Sui legni, lo sviluppo della meccanica sortiva gli stessi effetti; sugli ottoni valvole e pistoni causavano una vera rivoluzione (o catastrofe, dipende dai punti di vista).
Per gli archi entrava il proibizionismo per la corda vuota, la tecnica dell’arco che puntava a rendere indistinguibile punta da tallone.
Per tutti, cantanti compresi, si diffondeva il culto del vibrato onnipresente.
Sparivano tutti i sapori dei vati temperamenti, i tempi di metronomo rendevano sempre più preconfezionata la composizione.
Grammofoni e radio cominciavano a diffondere modelli indiscussi, nell’opera si creavano tradizioni trasformando in norma quelle che erano peculiarità ed eccezioni di alcuni interpreti, senza capire che fuori dal loro contesto originale tali usanze erano delle vere e proprie mostruosità.
Per fare un paragone letterario, sarebbe come mettere il viso di Naomi Campbell sul corpo di Pamela Anderson.
Però ciò faceva parte di una normale evoluzione.
Il fatto grave è che noi diamo per scontati gli attuali fondamenti estetici e li imponiamo anche ai poveri Bach, Mozart, Chopin…
Per concludere con un altro esempio letterario, è come se andassimo da MacDonald’s a mangiare vitello tonnato.
Il fatto poi che uno che scrive alle 7.48 di mattina possa già sognare vitello tonnato anziché un normale caffelatte non fa altro che confermare la degenerazione di certe abitudini odierne.
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