Il budello di Hohmann

27 ottobre 2008 di D.

Nella sua Violinschule del 1849 (anche se forse la prima edizione risale al 1836), Hohmann parla di corde di budello per il violino senza accennare al metallo.

Paganini (morto nel 1840) usò sempre e solo budello.

C’è chi parla del 1950 come data indicativa per l’uso diffuso del mi in acciaio.

La differenza fra budello e acciaio è abissale, non solo per il volume.

Cerchiamo giustificazioni negli esperimenti del ’700 col metallo, facendo per comodità nostra diventare regole quelle che erano eccezioni.

La storia degli strumenti (che distingua le eccezioni dalla normalità) non dovrebbe essere relegata ai cinque minuti di “conoscenza dello strumento” degli esami ministeriali.

Il metodo di studio che uso dal ’93 e che ho applicato per la prima volta ai 376 corali di Bach e negli anni successivi con Pigarelli, Benedetti Michelangeli, Dionisi, De Marzi, Giavina, Pedrotti, Mascagni (Dal ’94 al ’95), i libri di Monteverdi (’98), Marenzio (’99), le messe di Dufay ‘(99), l’intera produzione pianistica di Haydn ‘(98), Mozart (’98) e Beethoven (’99), l’opera organistica di Franck (2000) e via via in crescendo fino all’integrale di Bach concluso a gennaio 2008 è:

- Prendo un insieme di regole come modello (anche arbitrario)

- Raccolgo tutte le “eccezioni” al modello

- Riformulo il modello (ormai teoria) in base alle vecchie regole ed alle eccezioni.

Rimpiango solo di non aver mai scritto i risultati di queste migliaia di ore di ricerche: mi risulterebbe oggi più facile spiegare perché definisco con esattezza cacca buona parte delle pubblicazioni dei musicologi.

Al momento sto cercando di affrontare in blocco il repertorio sinfonico e concertistico dal 1750 al 1915, affiancato dalla lettura di vari trattati, metodi e carteggi…

Dopo tutto si tratta solo di qualche migliaio di brani: a piccoli pezzi si spostano anche le montagne…

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